Revista de Paz y Conflictos
ISSN: 1988-7221

Lopéz Martínez, Mario (2009) Política sin violencia. La noviolencia como humanización de la política, Bogotá: Uniminuto, 426 pp., ISBN: 978-958-8165-70-7.

Por Maurizio Geri. Università di Firenze

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Il bellissimo libro dello storico e filosofo Mario Lopez, “Politica senza violenza”, è un testo recente, pubblicato in Ecuador nel 2010 (prima publicatto in Colombia in 2006 o dopo una seconda edizione in Colombia in 2009), che si potrebbe definire un testo scientifico organico e allo stesso tempo divulgativo, o addirittura didattico, che tratta in forma veramente completa il tema della nonviolenza nella politica, nei suoi aspetti teorici e pratici.
Il libro ci guida infatti nella conoscenza della filosofia e della pratica della nonviolenza contemporaneamente ad aiutarci a provare a sperimentarla personalmente con approfondimenti, letture e schede che ci guidano ad una riflessione critica e personale. Lopez in questa opera vuole dimostrare come la nonviolenza sia un mezzo attraverso il quale si può arrivare ad una “umanizzazione” della politica, in contrasto con un realismo e un razionalismo incapaci di comprendere profondamente la realtà della storia umana e soprattutto di cambiare la società verso un mondo più giusto e più libero. È un testo che tratta in maniera seria e autorevole un tema che, soprattutto nelle opere in lingua italiana (se si esclude il testo di Andrea Cozzo “Conflittualità e nonviolenza” pubblicato da Mimesis nel 2004) viene spesso trattato con approcci più umanistici o filosofici che storici o scientifici (come sono i testi peraltro validi “Per un futuro nonviolento” di Michael Nagler o “Il principio della nonviolenza” di Jean-Marie Muller).
Come ci ricorda l’autore nella sua introduzione può sembrare contraddittorio intitolare un libro “Politica senza violenza”, quando la prima è stata sempre così legata alla seconda. Ma in realtà con il passare del tempo questo legame ha cominciato a ridursi, per ragioni storiche, ma anche epistemologiche e filosofico-politiche. I fenomeni storici più recenti infatti, afferma Lopez, dalla caduta del muro di Berlino ai processi di democratizzazione di molti paesi dell’est Europa e del sud del mondo, dalle lotte per i diritti civili e contro la discriminazione delle minoranze ai movimenti ecologisti e pacifisti, ci hanno dimostrato come il binomio politica-violenza non sia più sufficiente a spiegare la realtà delle cose, poiché questo non tiene conto del protagonismo di ampli settori della società civile, che cercano una trasformazione nonviolenta della società. Quindi oggi dobbiamo ripensare alcune teorie classiche e aprirci a nuovi paradigmi, anche se questo non significa che si debba mostrare la nonviolenza come un’altra ideologia che può rispondere a tutto e a tutti. Lo sforzo dell’autore è quello di aprire gli occhi del lettore su una realtà nuova in maniera critica e costruttiva, la nonviolenza viene presentata infatti come un nuovo paradigma teorico che non costituisce solo una teoria ma anche una pratica, un modo di vivere quotidiano, rappresentando quindi una vera e propria scienza applicata, al mondo e agli uomini.
Come detto il testo integra all’esposizione dell’autore una serie di letture alla fine di ogni capitolo, così come referenze bibliografiche dettagliate ed esercizi basati su domande specifiche (tutti elementi utili per la riflessione e l’approfondimento da parte del lettore sulle tematiche trattate) per terminare poi con i “termini chiave” che sono apparsi nel capitolo. La struttura quindi è leggera e dinamica, fruibile da un pubblico ampio, che può in questo modo riflettere e lavorare sulle idee esposte, senza perdere la profondità dei temi trattati e la scientificità del metodo utilizzato. I capitoli infine sono presentati con una foto emblematica riguardante l’argomento e una breve citazione del novellista Lewis Carrol, molto caro all’autore, rappresentativa del capitolo stesso.

Veniamo ora ad analizzare i contenuti del testo dei qualcuni capitoli.
Nel primo capitolo del libro si affronta il tema fondamentale della definizione del concetto di nonviolenza. Lopez premette che questo concetto, come tutti gli altri, è una costruzione culturale e che, come tale, ha precise dimensioni teorico-pratiche, che si incontrano attualmente in una fase storico-concettuale di crescita e vitalità ma, anche, di discussione delle sue frontiere e della sua portata. E come tutti gli altri concetti sociali, dice l’autore, anche questo “sarà reso visibile dal ‘sapere precostituito’quando la pressione socio-politica o storica lo esigerá con un tale grado e una tale intensità che finirà per essere ammesso da questo sapere”.
L’autore passa in rassegna alcune questioni sulla definizione del termine “nonviolenza”. La prima riguarda la morfosintassi del concetto, e cioè il fatto che questo termine possa essere scritto in maniera separata (non violenza), collegata da un trattino (non-violenza) o tutta attaccata (nonviolenza). Lopez ci ricorda che non esiste ancora un consenso scientifico su questo punto e quindi si limita ad espore le interpretazioni dei massimi esperti in materia. Sinteticamente ricordiamo che la prima forma riguarda una situazione di semplice assenza di violenza, la seconda fa riferimento a un tipo di lotta non armata, basata sulla resistenza passiva e la non cooperazione (termine che è stato abbastanza diffuso nella storiografia riferita alla liberazione dal colonialismo e dalla dominazione straniera, come nel caso dell’India) e la terza forma, ripresa dal satyagraha gandhiano e proposta da Aldo Capitini in Italia, che definisce appunto la ‘nonviolenza’ come un disegno costruttivo, come un progetto di una società diversa e più giusta. E proprio quest’ultima definizione, dice Lopez, ha avuto una notevole accettazione nella letteratura sociale delle recenti Peace Research e quindi potrebbe, in un futuro non lontano, essere integrata di buon grado all’insieme dei concetti del resto delle scienze sociali.
Passando al terreno semantico l’autore ci ricorda che, tenendo sempre in conto che il concetto di nonviolenza si sta costruendo e aprendo il passo storicamente in un mondo di pluralismo epistemologico, la nonviolenza non deve essere confusa né con la passività (come appunto veniva usato il concetto di resistenza passiva nel mondo inglese dell’ottocento con riferimento all’esperienza indiana), né con una forma di impotenza (dato che la lotta del nonviolento è semmai più potente di quella del violento poiché la prima non usa armi o altri strumenti di distruzione), nemmeno con qualcosa di “impraticabile” (dato che non c’è niente di più praticabile di ciò che si può usare tanto a livello domestico e quotidiano quanto a livello globale e politico), oppure con qualcosa come l’accettazione o la sottomissione politica (niente di più diverso dalla nonviolenza) o infine con qualcosa di inefficace o ingenuo (dato che la nonviolenza, a differenza della violenza che opera in maniera “industriale”, si potrebbe dire che opera in maniera “artigianale”, con una diversa efficacia ed efficienza rispetto alla prima).
La nonviolenza piuttosto, dice l’autore ricordandone i maggiori fautori, ha varie sfaccettature, essendo sia un metodo di intervento nella trasformazione dei conflitti che un metodo di lotta socio-politica, sia un mezzo di umanizzazione della politica che una tecnica di ricerca interiore e personale così come una filosofia e una cosmovisione dell’essere umano stesso. Qualcosa che si oppone alla violenza fisica diretta, a quella culturale e a quella strutturale (i tre tipi di violenza così ben definiti da Galtung) in primo luogo delegittimando e denunciando la violenza stessa e in secondo luogo trattando di ricercare alternative a questa, per costruire in maniera dinamica e creativa nuove forme di pace positiva, basate sulla giustizia e sull’equità. Considerata così si potrebbe definire la nonviolenza, dice Lopez, come “l’azione e il dovere per la giustizia, rispettando la vita e l’integrità fisica degli avversari nella lotta, per la compiutezza della vita stessa”.
Nel secondo capitolo l’autore passa a trattare i valori e i principi della nonviolenza. Innanzitutto il valore della vita e il principio di non uccidere, principio fondamentale della nonviolenza, che però può essere interpretato in vari modi: solo come principio negativo o come principio positivo (lottando per l’umanizzazione della condizione umana), solo verso gli esseri umani o verso tutti gli esseri viventi (pianeta compreso) come comandamento religioso o come scelta etica e morale della propria coscienza e soprattutto che si rifà alla c.d. “regola d’oro”, presente in ogni filosofia e religione, del “fai all’altro quello che vuoi sia fatto a te”. Poi l’autore passa ad un altro valore della nonviolenza, quello della ‘giustizia attraverso la ricerca della verità’, ricordando che la nonviolenza appunto non è un’altra verità ma una ricerca di questa, con tutto ciò che ne consegue (dal concetto di fallibilità a quelli di reversibilità, ‘serendipità’ etc.). Infine si tratta il valore della fiducia umana attraverso il dialogo (sia esterno che interiore) e quello della rigenerazione umana attraverso l’alternatività e la creatività (con gli esseri umani che vengono considerati fini in sé stessi e non mezzi come una semplice mercanzia).
Il capitolo si chiude con due argomenti importanti da tenere in considerazione: la relazione fra mezzi e fini, che vede come elemento fondamentale della nonviolenza l’uguaglianza fra i primi e i secondi, e l’analisi delle conseguenze controproducenti della violenza, dimostrando come l’uso di questa può essere rifiutato con argomenti storici, sociologici, etici, psicologici etc. e non solo per via aprioristica. Questo rifiuto, dice Lopez, nasce da elementi come il punto di saturazione spazio temporale della violenza, che abbiamo già raggiunto, dalle tendenze disumanizzanti e abbruttenti della violenza, dalla degradazione dei fini che si vogliono conseguire e dal pericolo di militarizzazione della società e degli individui. La lettura finale del capitolo infine è tratta da Azione Nonviolenta e riprende la Dichiarazione di Siviglia dell’Unesco sul fatto che “l’umanità non è biológicamente condannata alla guerra”.
Il terzo capitolo entra nel tema essenziale della relazione fra politica e nonviolenza. Lopez innanzitutto cerca di definire il significato originario del concetto di potere trattando prima le fonti sulle quali si può basare il potere (l’autorità attribuita, le risorse umane e materiali, la capacità e la conoscenza, i fattori psicologici e ideologici che fanno un gruppo o un individuo più o meno predisposti al potere, la capacità di imporre sanzioni etc.) e poi analizzando su quali elementi si giustifica l’obbedienza a questo potere (si va dall’abitudine alla paura delle sanzioni all’obbligazione morale, dagli interessi personali fino all’indifferenza o alla mancanza di fiducia in sé stessi, con una importantissima lettura alla fine del capitolo sull’esperimento di Milgran degli anni ’60, riguardante proprio l’obbedienza all’autorità).
Successivamente lo scrittore esamina l’importanza dei poteri alternativi sostenendo che sempre sono esistiti nella storia poteri alternativi a quelli del Principe (poteri “contestatari” che hanno presentato aternative alla costruzione politico-sociale egemonico-dominante della realtà) e tutto ciò ha permesso il progresso delle idee, la mobilità sociale e i cambi politici. Da questo punto di vista Lopez sottolinea in particolare il valore del c.d. potere integratore (in contrasto con i poteri distruttivo, basato sulla violenza, e produttivo, basato sul mercato)che citando Boulding, è la “capacità di mobilizzare pacificamente altre persone, attraverso il potere di convocazione, di solidarietà, di uguaglianza e in ultima analisi di amore”. Questo ci ricorda quindi che in un sistema democratico è più facile sviluppare il concetto di nonviolenza perché democrazia e nonviolenza vanno sempre per la mano, naturalmente se la prima riesce a sviluppare il massimo delle sue qualità (come il consenso, la negoziazione, l’accordo, la comprensione, la trasparenza etc.)
L’autore poi ci presenta il potere pacifista, come quel potere basato sulla dottrina del rafforzamento sociale (il c.d. empowerment) necessaria per far sì che le persone esercitino un potere sulle proprie vite allo stesso tempo in cui partecipano democraticamente alla vita della comunità (come voleva il ‘potere di tutti’, la c.d. omnicrazia di Capitini). Un potere quindi che va dal dentro verso il fuori (il livello personale) che si esercita con gli altri (livello collettivo) e in relazione a determinati fini (livello sociale e politico). Un potere del genere è quindi un potere maturo, che può influire sul destino e la storia dell’umanità, perché ha nel suo processo storico e politico di potenziamento della comunità il reequilibrio di tutte le forme di potere esistenti, incrementando perciò il suo ruolo di alternativa per un mondo nuovo. 
Passando al quarto capitolo si entra nel dettaglio della “forza” del pacifismo, cioè di “quella dottrina che cerca di creare tutte le condizioni affinché la pace diventi una situazione permanente delle relazioni umane, sia fra le persone che fra gli stati” (qualcosa quindi di diverso dalla nonviolenza che invece parla di lotta a tutte le forme di violenza, non solo alla guerra, e di costruzione di una “pace positiva” basata su una società più giusta). L’autore in particolare analizza prima l’etica sulla quale si sostiene il pacifismo (elencando sia i fondamenti umanisti, che quelli religiosi e utilitaristi) e poi passa alla distinzione fra pacifismo assoluto e pacifismo relativo. Il primo vede nella storia la maestra di vita e quindi afferma che siccome nessuna guerra ha portato alcun beneficio bisogna rifiutarla totalmente, independentemente dai fini che si vogliono perseguire, mentre il secondo vede la guerra come extrema ratio necessariain certi casi come l’autodifesa o la difesa di persone innocenti.  Infine Lopez descrivere il fenomeno del “pacificismo”, cioè una posizione teorica che ammette l’uso della guerra per difendere le conquiste politiche, economiche, sociali etc. della pace.
Successivamente l’autore esamina uno per uno gli argomenti politico-ideologici del pacifismo (riguardanti il no al bellicismo,  il dibattito fra guerra giusta e guerra ingiusta, il disarmo, l’antimilitarismo e l’obiezione di coscienza) e termina spiegando i vari modi attraverso cui si costruisce la dottrina a favore della pace (con il pacifismo giuridico realista, basato su un accordo fra gli stati, con i piani di pace idealisti, basati su concetti astratti e con le nuove forme di pacifismo, elencate alla fine del capitolo insieme alle altre forme di espressione storica del pacifismo). La lettura sulla “sindrome di John Wayne” (l’uomo vero che deve usare la violenza) chiude il capitolo.
Nel capitolo quinto l’autore passa ad analizzare la figura di Gandhi e la sua eredità storica. Lopez ci dice che seguendo i passi di Pontara bisogna studiare uno ad uno i principi fondamentali del pensiero gandhiano: satya (verità), ahimsa (nonviolenza), sarvodaya (benessere di tutti), swaraj (autodeterminazione), swadeshi (autosufficienza) e satyagraha (ricerca della verità). Senza entrare nel riassunto dettagliato del capitolo vorrei solamente ricordare che Lopez sostiene l’importanza di Gandhi soprattutto per la sua capacità di introdurre l’etica nella politica, peraltro in un tempo in cui si esaltavano la violenza e i totalitarismi. Quindi un’importanza storica, oltre che filosofica, proprio per il momento in cui ha vissuto e per il suo lascito fondamentale, che vede nella politica nonviolenta l’unica politica possibile. Chiude il capitolo una lettura critica sulla figura di Gandhi fatta da Salman Rushdie.
Dopo aver esaminato in maniera così completa la teoria e la filosofia della nonviolenza l’autore ci guida adesso attraverso l’analisi della vera a propria azione politica nonviolenta. Il sesto capitolo infatti ci parla della nonviolenza come lotta, con le tecniche, i metodi e i procedimenti mediante i quali la nonviolenza vuole proporre un’alternativa alla lotta violenta per la trasformazione e il cambio sociale. Lopez ci ricorda innanzitutto come la nonviolenza ha fatto propri, sistematizzandoli, molti metodi utilizzati nella storia umana dalle lotte sociali di emancipazione o resistenza, come lo sciopero o il boicottaggio, le manifestazioni di protesta o la creazione di istituzioni parallele. Oltre a questi mezzi la nonviolenza ha poi sviluppato altri metodi, dandogli un senso appunto etico-politico, come la disobbedienza civile, la non collaborazione o l’azione diretta nonviolenta.
Ma l’importante, dice l’autore, è ricordare che la nonviolenza, anche se non necessariamente motivata da un punto di vista ideologico, filosofico o etico-politico, è stata un comportamento molto presente nella storia dell’umanità. Indagare sulla nonviolenza nella storia ci permette di interpretare la storia stessa in un’altra maniera e soprattutto di osservare fatti impercettibili, se non alla luce di questa regola di “agire riducendo il livello di sofferenza e danno per l’umanità”. Nella storia, dalla filosofia di Socrate, Epicuro o Marco Aurelio nell’antichità classica alle figure di San Francesco, Bartolomé de las Casas e Spinoza pi­­ù tardi, fino ad arrivare al socialismo utopico e scientifico, al movimento operaio, al femminismo o all’ecologismo, si sono sempre trovati i semi della nonviolenza. E questo anche a livello di azioni storiche di lotta non-armata: dall’indipendenza delle Tredici Colonie americane alla fine del ‘700, alla resistenza all’occupazione nazista in Olanda, Danimarca e Svezia, fino agli ultimi anni del secolo scorso con le lotte contro l’apartheid in Sudafrica o per la democrazia in Cina solo per citarne alcune. Insomma la storia ha visto la nonviolenza come un comportamento sempre presente nell’umanità dice Lopez, mentre il suo studio sistematico è molto più recente e questo ci deve far riflettere su come oggi può essere utilizzata, in maniera più cosciente e consapevole, questa forza.
Dopo aver passato in rassegna gli antecedenti storico-teorici dell’ “arte della resistenza”, l’autore ci parla poi di cosa significa fare “politica democratica” attraverso la nonviolenza: “Parlare di teoria etico-politica dal punto di vista della nonviolenza significa, anche, una forte critica al realismo politico, tanto ‘hobbesiano’ come ‘machiavelliano’. La nonviolenza ci dice: non possiamo costruire società che siano basate sulla paura, la sfiducia o la cospirazione. La nonviolenza ci dice: lo stato non è un fine in sé stesso, sopra la ragion di stato ci sta la ‘ragione cittadina’, lo stato solo deve essere uno strumento al servizio della cittadinanza”. Insomma la nonviolenza, dice Lopez, crea un ‘potere sociale’ che dà ai cittadini la possibilità di partecipare attivamente nella costruzione politico-sociale. Per questo l’autore, riprendendo un concetto di Don Milani, ci spiega che ‘l’obbedienza non è più una virtù’, proprio perché per la teoria etico-politica della nonviolenza, tanto il governo come il sistema dipendono dalla buona volontà dei cittadini, dalle loro decisioni e dal loro appoggio e questo loro potere i cittadini lo possono esercitare anche non rispettando un ordine non desiderato. Sono gli individui stessi che devono decidere se acconsentono e in che grado ad una decisione del loro stato, proprio perché l’obbedienza è volontaria e il consenso può essere ritirato. Detto questo l’autore, seguendo le orme di Sharp, passa in rassegna i vari metodi dell’azione nonviolenta, che poi saranno elencati dettagliatamente in una delle letture finali del libro.
Questo quindi riassumendo è un capitolo molto importante del libro, proprio perchè ci guida nell’attuazione pratica della nonviolenza e non solo nella sua riflessione teorica. Il capitolo termina con le solite letture di approfondimento, che trattano questa volta del problema della lotta armata per conseguire la liberazione (dal Consiglio Internazionale di War Resisters’ International) e dei mezzi nonviolenti per ottenere un cambio globale del Forum di Barcellona.
Nel settimo contina, concludendosi, l’analisi dell’applicazione pratica della nonviolenza. L’autore ci parla in particolare di come si possa costruire una politica nonviolenta partendo innanzitutto dalla comunicazione stessa (ricordandoci Bobbio ma anche Rosenberg) che deve essere nonviolenta e non-discriminatoria, passando poi ad analizzare gli sforzi per costruire una politica e uno stato che ripudino la guerra (dall’obiezione di coscienza alla guerra e al servizio militare, alla difesa dei diritti umani e quindi in primis l’abolizione della pena di morte). Ma innanzitutto, dice Lopez, bisogna creare una cultura della pace e della nonviolenza se si vuole favorire una politica nonviolenta e quindi bisogna lavorare sull’educazione, che è ciò che sta alla base del sistema sociale. Una educazione che dovrebbe riprendere i saperi antichi, preindustriali, che già avevano in sé valori tipici della nonviolenza, come il rispetto della vita, il senso della comunità e della partecipazione, la solidarietà, la serenità, la disciplina etc. E una educazione che dovrebbe guardare a quelle discipline e a quei saperi scientifici che sempre più sono influenzati dalla nonviolenza, come il caso della psicologia e della psichiatria, dove la nonviolenza ha creato nuovi meccanismi per vincere situazioni di discriminazione e violenza, dell’antropologia e dell’etologia, che hanno scoperto in molte culture considerate “primitive” proprio i principi della nonviolenza, o delle scienze sociali e politiche, con le teorie di risoluzione dei conflitti o dell’empowerment che stanno alla base dello sviluppo, solo per citarne alcune. Insomma dice Lopez la nonviolenza ha molto da apprendere e domandare alle scienze in generale e allo stesso tempo queste potrebbero avanzare molto se conoscessero in cosa consiste la filosofia nonviolenta, in particolare rinnovando il loro lato umanista. Ma per far questo c’è bisogno di risorse e di investimenti nella ricerca (e di investimenti nella nonviolenza purtroppo se ne vedono ancora pochi).
L’autore poi passa in rassegna altri strumenti fondamentali dell’azione nonviolenta come la trasformazione nonviolenta dei conflitti, la difesa popolare nonviolenta (ricordandone anche gli esempi storici), la diplomazia civile nonviolenta (svolta da ONG internazionali come le Brigate Internazionali di Pace, le Forze di Pace Nonviolente, il Movimento Internazionale per la Riconciliazione, solo per citarne alcuni), la lotta contro la violenza strutturale (con gli insegnamenti del sarvodaya di Gandhi per esempio o dell’economia buddista e del “piccolo è bello” di Schumacher, ripresi oggi dalle attività di tante ONG) e infine la nonviolenza applicata ai processi di transizione e riconciliazione (che deve essere vista come “l’opportunità di fare le cose in un’altra maniera e di trasformare il proprio futuro”, ripotenziando le vittime, reinserendo i vittimari e ricreando una società con i valori della giustizia e della libertà).
Il libro termina con una una appendice documentale con testi di Gonzales Arias Bonet, Henri Arvon, Ivan Illich, George Orwell, Giuliano Pontara, Martin Luther King Jr, Don Lorenzo Milani, Rafael Ruiz e Gene Sharp, che ci guidano attraverso l’esperienza di maestri della nonviolenza e di episodi storici fondanti nella nostra umanità. Il libro si chiude infine con una bibliografia basica sulla nonviolenza e una webteca utile per continuare l’approfondimento sul tema.

Concludo dicendo che consiglio vivamente la traduzione integrale di questo libro nella nostra lingua, perché rappresenterebbe una novità importante nel panorama editoriale italiano e anche per la cultura del nostro paese, per quanto riguarda la filosofia teorica e pratica della nonviolenza, vista attraverso le scienze sociali, storiche e politiche.

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